Il comportamento alimentare: il ruolo dell'educazione genitoriale.
- dott.ssa Francesca Amatulli
- 14 mag 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Il comportamento alimentare, di ognuno di noi, si modella sulla base delle esperienze che abbiamo in relazione al cibo, fin dalla prima infanzia.
Scopriamo qual è il ruolo dell'educazione genitoriale all'interno della storia alimentare del bambino.

Attenzione al cibo come risposta Jolly
Quello dell’alimentazione può essere definito un percorso verso l’individuazione e l’autonomia che, grazie ad un supporto attento e amorevole delle figure genitoriali, porterà all’instaurarsi di un rapporto armonico con il cibo. Occorre, quindi, che i genitori imparino a riconoscere i segnali di disagio del bambino e soprattutto a rispondere a questi in modo adeguato, tempestivo e differenziato.
A volte, invece, succede che la risposta alimentare diventi una sorta di risposta jolly, in quanto capace di sedare l’ansia della madre davanti ai segni di disagio del bambino, per cui spesso si ha la tentazione di usarla in maniera stereotipata e inesatta. Fondamentale è evitare di proporre il cibo per colmare altri bisogni e usarlo in sostituzione, per esempio, del momento del gioco, delle coccole o delle attenzioni.
In questi casi, la risposta ricevuta, sposta l’attenzione del piccolo da un livello psichico ad uno somatico. In questo modo verrà a crearsi un condizionamento, ovvero il bambino tenderà a riconoscere il cibo come soluzione all’insoddisfazione.
Per esempio, è comune usare con i bambini il cibo come strumento di consolazione, tuttavia, questo potrebbe favorire da adulto, il meccanismo di ricerca del cibo con finalità compensatoria.
In questo scenario, per rispondere a situazioni di disagio o conflitto, l'individuo ha appreso una modalità compensatoria, basata sull'introiettare oggetti dall’esterno.
Questa distorsione potrebbe essere alla base di alcune forme di comportamenti problematici, quali l’obesità, dove mangiare diventa il modo con cui gestire le emozioni negative, ma anche alterazioni del comportamento più gravi, come la dipendenza da alcol o da sostanze, dove il ruolo dell'assunzione è centrale.
Evitare l'uso del cibo come premio o punizione
L’educazione materna rimane il mezzo d’influenza più forte, circa la storia alimentare del piccolo, questo perché il cibo può assumere diversi significati, durante il percorso educativo, veicolati dal comportamento genitoriale.
Dunque se i genitori vogliono che i loro figli sviluppino un rapporto corretto nei confronti del cibo, è necessario evitare di presentarlo come minaccia, premio, punizione o consolazione. Se si instaurano queste dinamiche è molto probabile che, con il tempo, il bambino comincerà ad utilizzare il proprio comportamento alimentare come arma per provocare o punire i genitori.
Per cui, affinché si instauri un rapporto sereno con il cibo, è utile puntare più sul valore educativo del buon esempio.
Affiancare il bambino nella scoperta del gusto
Ricordiamo che il significato originario del cibo è anzitutto soddisfacimento di un bisogno fisiologico, una naturale fonte di piacere e benessere; la Psicologia dello Sviluppo, ci conferma che il bambino, fin da molto piccolo, sa regolarsi da solo.
Spesso, durante la crescita, sono i condizionamenti genitoriali a creare delle alterazioni più o meno significative al meccanismo che regola fame e sazietà. Per tanto, è opportuno lasciare al bambino la possibilità di sperimentare e scoprire i propri gusti, così il ruolo dei genitori diventa quello di affiancarlo in questo momento di scoperta, ponendosi in una posizione di ascolto e di rispetto dei ritmi di appetito del piccolo.
Affiancare, significa fornire delle coordinate alle modalità in cui avverrà il pasto, senza fornire rigide regole, ma piuttosto dei costanti riferimenti, perché il pasto diventi un momento in cui il bambino si dedichi al piacere, ma anche al dovere di nutrirsi.
Aiutare ad autoregolarsi
La prima cosa da fare è far sì che il bambino si sieda a tavola quando è affamato, aiutandolo così a familiarizzare con la sensazione di essere vuoto/pieno, ma anche a riconoscere il desiderio di mangiare.
Una certa regolarità, che solitamente prevede cinque pasti, offre al bimbo la possibilità di anticipare la sensazione di vuoto-fame e anche di esprimerla verbalmente.
Importante è dare uno spazio e un tempo al pasto, per cui è preferibile il consumo di questo a tavola con un tempo circoscritto ed esplicitato dall’adulto, rispettando ovviamente le differenti velocità nel mangiare.
Fin dall’inizio, attraverso il cibo si definiscono i contenuti della relazione madre-bambino, si sviluppano le modalità relazionali con l’esterno, ma anche il percorso verso l'autonomia. All’adulto spetta l'importante compito di ascoltare i bisogni di crescita del bimbo e di fornire adeguate risposte affettive, ma anche garantire un quadro educativo di riferimento.
Milano, dott.ssa Francesca Amatulli - Psicologa Psicoterapeuta
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